Mostra di arti elettroniche al Castello della Cervelletta
a cura di Veronica D’Auria
dal 2 al 7 giugno 2007
Inaugurazione sabato 2 giugno ore 18:00
Saranno esposte le opere di:
Nicola Bettale
Robert Cahen
ELASTIC Group Of Artistic Research
Cristiano Ramunno
Laura Santamaria
Lino Strangis
Studio Azzurro
In occasione dell’evento verrà presentato il video trailer di PYCTA, spettacolo multimediale di ALTROEQUIPE
Presenze video-soniche, collettiva di arti elettroniche al Castello della Cervelletta in Roma, è un evento ideato con l’intento di realizzare uno spazio collettivo in cui le opere di giovani artisti si incontrano e co-abitano con quelle di alcuni tra i maestri più affermati al mondo. L’idea di allestire gli spazi del castello intende concretamente unire il dirottamento dell’arte dai luoghi ufficiali con la rivalutazione del territorio e dei beni culturali, per così dire “decentralizzati”, lontani dai percorsi “turistici”.
Non solo quindi si porta l’arte nelle “periferie”, ma si tenta di spostare, quantomeno saltuariamente, l’interesse del mondo della cultura al di fuori del circuito tradizionale e quindi dalle zone urbane in cui questo agisce.
Il riferimento alla dimensione spettrale del castello, come infestato da fantasmi, non intende solo rifarsi al mondo fiabesco, ma tenta di fare di questo background popolare un “pretesto retorico” per porre in evidenza la particolare alterità congenita alle audio-visioni di cui la mostra si costituisce: non semplicemente un qualcosa di astratto, un che di estraneo che va ad aggiungersi, giustapporsi al mondo, bensì apparizioni di invisibili e inaudibili “presenze” nascoste nel/dal mondo stesso. Il castello diviene così luogo di non luoghi rivelatori dell’essenza nascosta di tutte le cose, ambiente, terra di mezzo tra il mondo e l’oltre del mondo, l’ordinario e lo straordinario celato nell’ordinario stesso. Le opere di questi artisti, pur diversificandosi tra loro nei presupposti teorici come nelle modalità di realizzazione e quindi d’interpretazione dei dispositivi elettronici, hanno in comune la caratteristica di far emergere e porre in audio-visione processi altrimenti inaccessibili, in cui a svelarsi non è solo la natura dei dispositivi ma la natura stessa, i suoi processi di continua formazione ed i meccanismi della percezione. Basti pensare alla motilità dei paesaggi nelle visioni viandanti di Cahen o al sovrapporsi di modalità e punti di visione che troviamo nelle opere di Strangis.
Inaugureranno l’evento: Silvio Di Francia (Ass. alle Politiche Culturali), Dante Pomponi (Ass. alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale e il Lavoro), Ivano Caradonna (Presidente del V Municipio), Massimiliano Marcucci (Delegato alla Cultura e allo Sport del V Municipio), Marco Piccozza (Delegato alla semplificazione amministrativa e alle Nuove Tecnologie del V Municipio)
L’evento è stato ideato e realizzato dal gruppo Le momo electronique in collaborazione con l’Ass. Boccaleone, con il patrocinio del MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea) dell’Università “La Sapienza” di Roma, diretto da Simonetta Lux e coordinato da Domenico Scudero, del V Municipio, dell’Assessorato alle Politiche Culturali e di quello alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale e il Lavoro del Comune di Roma.
Orario: dal 2 al 7 giugno 2007 dalle 11:00 alle 19:30
Per informazioni: Ufficio stampa
Chiara Ciucci Giuliani 349 3786806, Veronica D’Auria 349 2304021, Manuela Micari 347 4048341, Giulia Tolino 347 2947570
http://www.lemomoelectronique.com/
presenzevideo-soniche@lemomoelectronique.com
Castello della Cervelletta,
via della Cervelletta n°1, 00155, Roma
Come arrivare: stazione metro B Rebibbia, Bus 437-447, fermata Tor Cervara/Cervelletta a piedi per 250m; A24 Roma-L’Aquila direzione G.R.A. uscita Tor Cervara
sabato 14 luglio 2007
Nicola Bettale
Nicola Bettale è nato a Schio nel 1978 dove attualmente risiede e lavora.
Si avvicina alla fotografia nel 2005 e fin dall' inizio sviluppa una spiccata tendenza alla ricerca formale e concettuale attraverso la quale indaga soggettivamente gli aspetti individuali e collettivi della società.
La sua poetica risulta essere un mosaico ricco di sensazioni uniche e particolari a partire da elementi e situazioni quotidiane che divengono luogo di suggestive composizioni.
Dal 2005 espone le sue opere in diverse personali: “Visioni parallele", Sala mostre della FIAF, Trieste; "Realtà degradante" - Palazzo Toaldi Capra, Schio; "Energheia" - MUSAE Museo urbano sperimentale d'arte emergente, Casale Monferrato; "Sub Acquea" - DEKAMER - "Selezione Arte" Galleria Masselli di Verona.
Ha partecipato a varie collettive in diverse zone d’Italia: "HP", HypeGallery , Milano; "Visioni Parallele", Dlight studio, Milano (2005); "Sub Acquea" - “Arteam giovani Italia 2006” - Museo comunale di Celle Ligure; "Visioni Parallele" - "Martelive" - Alpheus di Roma - Classiticato 7°; "Industrializzazione del Pensiero" - X Concorso Internazionale Massenzio Arte - ISA di Roma; "Energheia" - Terzo Pianeta a destra - Galleria "Galeria" – Padova (2006); "Imaginartech - Rassegna d'arte digitale", Studio Conestabo Arte, Trieste; "Sub Acquea", Portfolio 2006 - collettiva dei Portfolio premiati nelle otto Manifestazioni aderenti al circuito, “Centro Italiano della Fotografia d’Autore” – Bibbiena; "Wonderland" - Corpo/segno/Superficie rassegna di arte visive - Castello estense – Ferrara.
Nicola Bettale
Sub Acquea, 2006
PROFUNDA 102X37 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
EFFUSIONE 52X73 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
ET VOILA' 52X73 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
SHALOM 112X51 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
RIFLER 50X75 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
Bettale realizza mosaici con frammenti di realtà, ricostruendola e riformandola, dando avvio a processi in cui ogni cosa nel velarsi si svela oltre e al di là di ciò che di essa abitualmente si vede. Non si tratta di fotomontaggi o di elaborazioni che aggiungono qualcosa di inesistente all’esistente cristallizzato nello scatto fotografico, bensì di visioni multiple in cui emerge il fantastico esistente celato dietro le maglie di quella convenzione che chiamiamo realtà. Ogni oggetto, nella sua semplicità, diviene un mondo, un pianeta lontano, mostrandosi nella sua misteriosa natura, scomposta e ricomposta, decostruita e ricucita, liberandosi così della dimensione meramente oggettuale a cui è quotidianamente costretto e facendosi campo lirico, terra metaforica
Nelle sue opere, sempre al limite dello specifico fotografico, il livello estetico e quello concettuale si integrano perfettamente: ogni scelta formale è mossa da un pensiero e ogni pensiero si sforza di tradursi in forma. Tutto ciò accade anche in queste opere estratte dal ciclo “Sub Acquea” circa le quali così si esprime lo stesso autore:
«la bottiglia (angusta e condizionante) con l'acqua (prigioniera e condizionata), oggetto falsamente trasparente, assunta come strumento per leggere e interpretare, attraverso la fotografia, l'Uomo nella Società, nella sua dimensione esistenziale…Un gioco alchemico di studiate concettualizzazioni su forme e contenuti». Con queste opere Nicola lancia una pesante critica alla società contemporanea così «falsamente trasparente» pur senza privarci di un particolare gusto “pittorico”, pur senza togliere nulla alla suggestione delle immagini.
Si avvicina alla fotografia nel 2005 e fin dall' inizio sviluppa una spiccata tendenza alla ricerca formale e concettuale attraverso la quale indaga soggettivamente gli aspetti individuali e collettivi della società.
La sua poetica risulta essere un mosaico ricco di sensazioni uniche e particolari a partire da elementi e situazioni quotidiane che divengono luogo di suggestive composizioni.
Dal 2005 espone le sue opere in diverse personali: “Visioni parallele", Sala mostre della FIAF, Trieste; "Realtà degradante" - Palazzo Toaldi Capra, Schio; "Energheia" - MUSAE Museo urbano sperimentale d'arte emergente, Casale Monferrato; "Sub Acquea" - DEKAMER - "Selezione Arte" Galleria Masselli di Verona.
Ha partecipato a varie collettive in diverse zone d’Italia: "HP", HypeGallery , Milano; "Visioni Parallele", Dlight studio, Milano (2005); "Sub Acquea" - “Arteam giovani Italia 2006” - Museo comunale di Celle Ligure; "Visioni Parallele" - "Martelive" - Alpheus di Roma - Classiticato 7°; "Industrializzazione del Pensiero" - X Concorso Internazionale Massenzio Arte - ISA di Roma; "Energheia" - Terzo Pianeta a destra - Galleria "Galeria" – Padova (2006); "Imaginartech - Rassegna d'arte digitale", Studio Conestabo Arte, Trieste; "Sub Acquea", Portfolio 2006 - collettiva dei Portfolio premiati nelle otto Manifestazioni aderenti al circuito, “Centro Italiano della Fotografia d’Autore” – Bibbiena; "Wonderland" - Corpo/segno/Superficie rassegna di arte visive - Castello estense – Ferrara.
Nicola Bettale
Sub Acquea, 2006
PROFUNDA 102X37 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
EFFUSIONE 52X73 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
ET VOILA' 52X73 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
SHALOM 112X51 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
RIFLER 50X75 cm, Lambda print on d-bond support, glass and frame
Bettale realizza mosaici con frammenti di realtà, ricostruendola e riformandola, dando avvio a processi in cui ogni cosa nel velarsi si svela oltre e al di là di ciò che di essa abitualmente si vede. Non si tratta di fotomontaggi o di elaborazioni che aggiungono qualcosa di inesistente all’esistente cristallizzato nello scatto fotografico, bensì di visioni multiple in cui emerge il fantastico esistente celato dietro le maglie di quella convenzione che chiamiamo realtà. Ogni oggetto, nella sua semplicità, diviene un mondo, un pianeta lontano, mostrandosi nella sua misteriosa natura, scomposta e ricomposta, decostruita e ricucita, liberandosi così della dimensione meramente oggettuale a cui è quotidianamente costretto e facendosi campo lirico, terra metaforica
Nelle sue opere, sempre al limite dello specifico fotografico, il livello estetico e quello concettuale si integrano perfettamente: ogni scelta formale è mossa da un pensiero e ogni pensiero si sforza di tradursi in forma. Tutto ciò accade anche in queste opere estratte dal ciclo “Sub Acquea” circa le quali così si esprime lo stesso autore:
«la bottiglia (angusta e condizionante) con l'acqua (prigioniera e condizionata), oggetto falsamente trasparente, assunta come strumento per leggere e interpretare, attraverso la fotografia, l'Uomo nella Società, nella sua dimensione esistenziale…Un gioco alchemico di studiate concettualizzazioni su forme e contenuti». Con queste opere Nicola lancia una pesante critica alla società contemporanea così «falsamente trasparente» pur senza privarci di un particolare gusto “pittorico”, pur senza togliere nulla alla suggestione delle immagini.
Robert Cahen
Nato a Valence (Francia) nel 1945 è uno degli autori più importanti della storia della videoarte oltre che un pioniere nell’utilizzazione di strumenti elettronici. Si forma come fotografo e musicista, nel 1972 si diploma al conservatorio nazionale di Parigi e studia musica concreta con Pierre Schaeffer. Dal ‘71 al ‘74 è stato membro dell’ORTF (gruppo di ricerche musicali) presso gli studi della radio-televisione francese, dove per la prima volta si accosta all’audiovisione elettronica e dal ‘73 al ‘76 èdirettore del dipartimento di sperimentazione video per l’ORTF/INA (Istituto nazionale di audiovisione) da cui sono stati prodotti buona parte dei suoi video e films. La sua prima opera audiovisiva elettronica Invitation au Voyage risale al 1973, da allora ha esposto in tutto il mondo: alla Documenta 8 di Kassel (1987), alla Biennale di Parigi (diverse edizioni), al Museo di Arte Moderna di New York, al Fest-Rio (Brasile), alla Biennale delle arti elettroniche di Roma, al Festival di Locarno (diverse edizioni), alla Triennale di Milano (1995), In Video, (1998), al Tokio Video Festival (1987) e alla quinta settimana internazionale del video di Ginevra (nel 1993) (per citare alcuni eventi tra i più noti). Nei suoi lavori la materia si disfa e si ricompone in un continuo ondeggiare di apparizione e sparizione foriero di grande lirismo. Cahen si cimenta in immagini sintetizzate, sovrimpressioni, ri-colorazioni, rallentamenti tendenti all’infinito e azioni alteranti di diverso genere. Il viaggio e il paesaggio sono al centro di buona parte dei suoi lavori e della sua poetica, questi scenari però, pur essendo spesso mutati, ricercati in diverse e altre modalità di apparizione, non perdono mai la loro bellezza naturale, sono come vibrati dall’elaborazione, la quale più che stravolgerne le caratteristiche, sembra volergli donare istanti di “verità”. Ponendoli nella dimensione dell’intravisto, evanescente, immergendoli in un’attesa cosmica, sempre, lentamente sul filo del rasoio, tra la mobilità e l’immobilità. Dal 1995 realizza videoinstallazioni tra cui alcune permanenti come Alle de Liège a Lille (Francia 1995). Storici alcuni suoi capolavori come L’Entraperçu (1980), Hong Kong Song (1988) e Voyage d’Hiver (1993). Di grande importanza ed interesse sono anche le sue ultime opere come l’installazione Tombe (1997) in cui indaga i limiti tra immagine fissa ed in movimento realizzando pitture elettroniche fortemente espressive, o ancora le più recenti Traverses. La sua opera Sept Visions Fugitives (qui esposta) ha vinto i premi internazionali (Videokunstpreis) del ZKM e della SDR.
Robert Cahen
Sept Visions Fugitives
Sept visions fugitives (Sette Visioni Fuggitive) video, 32´, colore, suono, 1995, Francia.
Sound design di Michel Chion.
Prodotto da Arte, Les Films du Tambour de Soie, in collaborazione con CICV
Pierre Schaeffer, Montbéliard-Belfort, Francia.
Sette visioni fuggitive in una Cina avvolgente e mobile nel suo vibrante pullulare. In viaggio, attraversando, per qualche estatico istante, questa immensa e remota regione del mondo ( tra l’altro storicamente avvolta da una velo misterioso per noi occidentali). Cahen riesce ad addentrarci in quel “cosmo” lontano proprio perché non intende descriverlo, documentarlo, bensì mostrarlo “de-documentalizzato”, in cerca di un qualcosa che va oltre il mero documento: un fenomeno sinestetico che, oscillando continuamente dentro e fuori dai binari del verosimile, attendibile per convenzione, si fa mondo a sua volta, aprendosi, ma mantenendo intatto il mistero… Come quando si viaggia in prima persona, nulla è come lo si vede nei documentari: lontano dalle guide turistiche, ogni cosa tace la sua provenienza, il suo verso… Perché appartiene ad un mondo altro, in cui noi ci troviamo sempre per la prima volta. Ci accorgiamo di non sapere nulla della Cina e poco della natura. Eppure la storia dei luoghi visitati ci tocca, la incontriamo senza saperne il nome: nelle gestualità rituali, nelle facce delle persone che al mattino affollano un mercato, nel volare d’uccelli, nello scrosciare delle onde, nelle montagne rocciose riscaldate dal sole rosso di un tramonto sul fiume vorticante o nel il cigolare ritmico di uno strano filatoio… Ma proprio là dove si è stranieri, per di più quando si è stranieri “lontani”, si rischia inevitabilmente di cadere nello streotipo; questo Cahen lo tiene bene a mente e lo rifugge: «ho lottato con le immagini - dice- consapevole io stesso del loro carattere stereotipo. L’impressione pura e il materiale filmico grezzo sono stati completamente rielaborati, diventando qualcos’altro rispetto a quel che erano in origine». Ci porge in audio-visione infatti quella che chiama una «pura esperienza»: tramite un dosatissimo dialogo con le alterazioni percettive, applicate in fase di post-produzione, fa si che l’esperienza vissuta al cospetto dell’opera sia a sua volta ‘unica’, originale, a sua volta ‘altra’ dalla propria e assolutamente eccezionale, extra-ordinaria... Vera! Siamo catturati, irretiti da quel cosmo, in cui il viaggio, diviene metafora di un flusso dinamico che è della terra, la natura , così come nella natura degli audio-visivi stessi. In questi sette episodi scrutiamo attraverso visioni e suoni questo millenario e sfuggente luogo in cui siamo cullati dalla terra, in lento, suadente, ma sempre perturbante pulsare.
Robert Cahen
Sept Visions Fugitives
Sept visions fugitives (Sette Visioni Fuggitive) video, 32´, colore, suono, 1995, Francia.
Sound design di Michel Chion.
Prodotto da Arte, Les Films du Tambour de Soie, in collaborazione con CICV
Pierre Schaeffer, Montbéliard-Belfort, Francia.
Sette visioni fuggitive in una Cina avvolgente e mobile nel suo vibrante pullulare. In viaggio, attraversando, per qualche estatico istante, questa immensa e remota regione del mondo ( tra l’altro storicamente avvolta da una velo misterioso per noi occidentali). Cahen riesce ad addentrarci in quel “cosmo” lontano proprio perché non intende descriverlo, documentarlo, bensì mostrarlo “de-documentalizzato”, in cerca di un qualcosa che va oltre il mero documento: un fenomeno sinestetico che, oscillando continuamente dentro e fuori dai binari del verosimile, attendibile per convenzione, si fa mondo a sua volta, aprendosi, ma mantenendo intatto il mistero… Come quando si viaggia in prima persona, nulla è come lo si vede nei documentari: lontano dalle guide turistiche, ogni cosa tace la sua provenienza, il suo verso… Perché appartiene ad un mondo altro, in cui noi ci troviamo sempre per la prima volta. Ci accorgiamo di non sapere nulla della Cina e poco della natura. Eppure la storia dei luoghi visitati ci tocca, la incontriamo senza saperne il nome: nelle gestualità rituali, nelle facce delle persone che al mattino affollano un mercato, nel volare d’uccelli, nello scrosciare delle onde, nelle montagne rocciose riscaldate dal sole rosso di un tramonto sul fiume vorticante o nel il cigolare ritmico di uno strano filatoio… Ma proprio là dove si è stranieri, per di più quando si è stranieri “lontani”, si rischia inevitabilmente di cadere nello streotipo; questo Cahen lo tiene bene a mente e lo rifugge: «ho lottato con le immagini - dice- consapevole io stesso del loro carattere stereotipo. L’impressione pura e il materiale filmico grezzo sono stati completamente rielaborati, diventando qualcos’altro rispetto a quel che erano in origine». Ci porge in audio-visione infatti quella che chiama una «pura esperienza»: tramite un dosatissimo dialogo con le alterazioni percettive, applicate in fase di post-produzione, fa si che l’esperienza vissuta al cospetto dell’opera sia a sua volta ‘unica’, originale, a sua volta ‘altra’ dalla propria e assolutamente eccezionale, extra-ordinaria... Vera! Siamo catturati, irretiti da quel cosmo, in cui il viaggio, diviene metafora di un flusso dinamico che è della terra, la natura , così come nella natura degli audio-visivi stessi. In questi sette episodi scrutiamo attraverso visioni e suoni questo millenario e sfuggente luogo in cui siamo cullati dalla terra, in lento, suadente, ma sempre perturbante pulsare.
ELASTIC Group of Artistic Research
Alexandro Ladaga (laureato in Filosofia con indirizzo Estetica) e Silvia Manteiga (Laureata in Lettere con indirizzo Cultural Studies) hanno fondato ELASTIC - Group Of Artistic Research nel 1999.
Questo duo realizza installazioni in site specific, public art, video performance e video monocanale sperimentali nei quali, come ha scritto Simonetta Lux, «si stratificano immaginificamente le molteplici tracce della nostra percezione del reale». «I contesti audiovisivi strappati al mondo che noi percepiamo come reale, sono “investiti” dai processi alteranti della materia elettronica, attraverso questa metamorfosi che ne muta l’aspetto e la conformazione, i risultati delle loro operazioni, che «uniscono pensiero filosofico e logos tecnologico» (Vincenzo Trione), non sono più immagini del mondo, non più surrogati, ma soggetti autonomi che gli Elastic chiamano “videocreature”.» (Lino Strangis)
Sono autori, fin dal 1999, di numerose installazioni di public art e site specific realizzate sul territorio italiano, oltrechè in Germania, Austria, Francia, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti.
Sono stati invitati dalle Municipalità di Roma e Firenze a creare due opere site specific (video installazioni) per Piazza del Popolo “Mine Man” e Piazzale delle Cascine “Eye Recorder”. Hanno partecipato al progetto ‘Festival Temps d’Images’, prodotto dalla Biennale di Venezia e Canal ARTE. Sono stati artisti residenti a The Kitchen (New York) nel luglio 2002 e sono stati invitati da Zugazagoitia (Direttore de El Museo del Barrio) a mostrare le loro video installazioni a New York. Tra il 2003 e il 2004 hanno presentato il loro progetto “Amniotic City” a Palazzo Reale (Napoli) in occasione della XIV Quadriennale di Roma e al ‘Digital Convergence’ presso il Museo d’Arte Contemporanea di Chicago e nel 2005 “Inside the mirror” alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma. Sono autori del saggio Strati Mobili: Video contestuale nell’Arte e nell’Architettura (collana Revolution in Architecture, Edilstampa, 2006) presentato al MAXXI di Roma. Nel 2006 sono stati artisti residenti al Museum Quartier di Vienna e hanno partecipato in prestigiose rassegne video alla Kunsthalle (Videotheka), a New York (Moving Time: Tribute to Name June Paik) e in Cina (Museum of Contemporary Art of Canton). Sono stati invitati a intervenire per la prima volta nella storia nel Tempietto del Bramante con un monumentale Public Video Art (The Night Watchmen) prodotto dalla Reale Accademia di Spagna ed il Ministero degli Affari Esteri. Nel 2007 hanno partecipato per la seconda volta a DIVA Digital Video Art Fair.
T-RAUM-A
Video installazione di
ELASTIC
Group of Artistic Research
Alexandro Ladaga & Silvia Manteiga
Il video T-RAUM-A (parte di questa installazione) è stata realizzata durante una residency a Vienna al Tanz Quartier (Museum Quartier) intitolata Kein Körper unter diesem Anschluss.
Nel subconscio si cela la voce di un altro che siamo noi, uno strato magmatico, che ci sommuove dall’interno, ribollendo le tracce residue del nostro vissuto. In questa installazione site specific degli ELASTIC Group, le stalle del castello divengono stanza della mente, delle menti, voci che si affollano e si intrecciano in una polifonia di esistenze, di lingue, “giri di vite” disegnati sui volti incastrati nel piccolo monitor. Storie che divengono fenomeno unico, corale, disperdendo nello spazio il significato di ciò che dicono. « Ognuno nella propria lingua, ebraico, tedesco, olandese… i diversi personaggi raccontano i loro traumi: una performer israeliana racconta il trauma di essere cresciuta in un kibbutz e così via i traumi di un coreografo austriaco, una filosofa di Berlino, un filmaker transgender austriaco e un regista e performer olandese.
I traumi si mischiano in una unica traccia sonora come anche i loro volti intenti ad esprimere il loro inconscio nel fuori fusi in un unico essere ci raccontano T-RAUM-A, trauma, stanza dell’inconscio, sogno multiplo…». L’ambiente intero diviene “corpo metaforico” attraversato e riformato come da uno sguardo pulsante che vede nel buio e vede buio: la luce verde, tipicamente ELASTIC Group, diviene metafora dell’onirico, del mistero celato nell’oscurità dei meandri della mente. In questa opera troviamo una via d’accesso a ciò che non è visibile, non è dicibile, non codificabile, ci addentriamo in una dimensione dell’esistenza che il pensiero razionale non può fotografare.
Questo duo realizza installazioni in site specific, public art, video performance e video monocanale sperimentali nei quali, come ha scritto Simonetta Lux, «si stratificano immaginificamente le molteplici tracce della nostra percezione del reale». «I contesti audiovisivi strappati al mondo che noi percepiamo come reale, sono “investiti” dai processi alteranti della materia elettronica, attraverso questa metamorfosi che ne muta l’aspetto e la conformazione, i risultati delle loro operazioni, che «uniscono pensiero filosofico e logos tecnologico» (Vincenzo Trione), non sono più immagini del mondo, non più surrogati, ma soggetti autonomi che gli Elastic chiamano “videocreature”.» (Lino Strangis)
Sono autori, fin dal 1999, di numerose installazioni di public art e site specific realizzate sul territorio italiano, oltrechè in Germania, Austria, Francia, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti.
Sono stati invitati dalle Municipalità di Roma e Firenze a creare due opere site specific (video installazioni) per Piazza del Popolo “Mine Man” e Piazzale delle Cascine “Eye Recorder”. Hanno partecipato al progetto ‘Festival Temps d’Images’, prodotto dalla Biennale di Venezia e Canal ARTE. Sono stati artisti residenti a The Kitchen (New York) nel luglio 2002 e sono stati invitati da Zugazagoitia (Direttore de El Museo del Barrio) a mostrare le loro video installazioni a New York. Tra il 2003 e il 2004 hanno presentato il loro progetto “Amniotic City” a Palazzo Reale (Napoli) in occasione della XIV Quadriennale di Roma e al ‘Digital Convergence’ presso il Museo d’Arte Contemporanea di Chicago e nel 2005 “Inside the mirror” alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma. Sono autori del saggio Strati Mobili: Video contestuale nell’Arte e nell’Architettura (collana Revolution in Architecture, Edilstampa, 2006) presentato al MAXXI di Roma. Nel 2006 sono stati artisti residenti al Museum Quartier di Vienna e hanno partecipato in prestigiose rassegne video alla Kunsthalle (Videotheka), a New York (Moving Time: Tribute to Name June Paik) e in Cina (Museum of Contemporary Art of Canton). Sono stati invitati a intervenire per la prima volta nella storia nel Tempietto del Bramante con un monumentale Public Video Art (The Night Watchmen) prodotto dalla Reale Accademia di Spagna ed il Ministero degli Affari Esteri. Nel 2007 hanno partecipato per la seconda volta a DIVA Digital Video Art Fair.
T-RAUM-A
Video installazione di
ELASTIC
Group of Artistic Research
Alexandro Ladaga & Silvia Manteiga
Il video T-RAUM-A (parte di questa installazione) è stata realizzata durante una residency a Vienna al Tanz Quartier (Museum Quartier) intitolata Kein Körper unter diesem Anschluss.
Nel subconscio si cela la voce di un altro che siamo noi, uno strato magmatico, che ci sommuove dall’interno, ribollendo le tracce residue del nostro vissuto. In questa installazione site specific degli ELASTIC Group, le stalle del castello divengono stanza della mente, delle menti, voci che si affollano e si intrecciano in una polifonia di esistenze, di lingue, “giri di vite” disegnati sui volti incastrati nel piccolo monitor. Storie che divengono fenomeno unico, corale, disperdendo nello spazio il significato di ciò che dicono. « Ognuno nella propria lingua, ebraico, tedesco, olandese… i diversi personaggi raccontano i loro traumi: una performer israeliana racconta il trauma di essere cresciuta in un kibbutz e così via i traumi di un coreografo austriaco, una filosofa di Berlino, un filmaker transgender austriaco e un regista e performer olandese.
I traumi si mischiano in una unica traccia sonora come anche i loro volti intenti ad esprimere il loro inconscio nel fuori fusi in un unico essere ci raccontano T-RAUM-A, trauma, stanza dell’inconscio, sogno multiplo…». L’ambiente intero diviene “corpo metaforico” attraversato e riformato come da uno sguardo pulsante che vede nel buio e vede buio: la luce verde, tipicamente ELASTIC Group, diviene metafora dell’onirico, del mistero celato nell’oscurità dei meandri della mente. In questa opera troviamo una via d’accesso a ciò che non è visibile, non è dicibile, non codificabile, ci addentriamo in una dimensione dell’esistenza che il pensiero razionale non può fotografare.
Cristiano Ramunno
Nato a Marino (Roma) il 20/12/1981, Vive e lavora a Roma.
Fin da giovane età si dedica alla musica e alla fotografia, compie gli studi medio-superiori presso il IV Liceo Artistico di Roma e intanto suona in diverse band locali di matrice Alternative Rock. Successivamente (ancor prima di terminare gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma) è scenografo per diversi spettacoli teatrali. Nel 2003 aderisce al gruppo “Malerischeren” con cui espone le sue opere pittoriche e fotografiche in diverse mostre in vari centri sociali nella capitale. Nel 2004 co-fonda il gruppo “Smoker Mu” in cui si occupa di musica sperimentale, Performance, Sound Art, musica per teatro e si esibisce in diverse occasioni di rilievo tra cui la Performance “Passaggi di stato… Morte di un baco da seta” tenutasi al MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea) nel Settembre 2005.
Dal 2004 apre la sua ricerca alle sperimentazioni di elaborazione digitale delle immagini fotografiche e comincia a lavorare alle sue installazioni foto-sonore.
Nel 2006 co-fonda il gruppo “Le Momo Electronique”.
Cristiano Ramunno
Doppia visione
- incroci di sensi -
Installazione foto-sonora
Questa installazione foto-sonora, non è un lavoro volto ad indagare esclusivamente quelle facoltà percettive che l’uomo adopera per dare una fisionomia (e di conseguenza un nome) alle cose del mondo. Intende piuttosto, partendo dalla riflessione circa il percepire, porsi come tramite attraverso cui accedere ad un più profondo strato della conoscenza audio-visiva: varcare le soglie del quotidiano inteso come ordinario, nel tentativo di porre l’avventore al cospetto di un’esperienza multisensoriale, dove quanto sembrerebbe oggettivamente riconosciuto, viene riportato ad un grado tale da mettere in discussione la certezza d’attendibilità con cui l’uomo contemporaneo “cataloga” le cose, le circostanze, le situazioni.
Ramunno, giovane polistrumentista e fotografo sperimentale, ci avvolge in un lembo di “terra di confine” tra il mondo a cui siamo abituati ed i mondi possibili nascosti ai nostri sensi, che qui, vedono svelarsi, nella metafora dell’incrocio, lo stato di convivenza di diversi modi possibili/impossibili di percepire, concepire e partecipare l’esperienza degli enti abitualmente celati dietro un’apparenza che non sfiora che il dorso delle cose. «Microcosmi fluttuanti» li chiama, mondi nel mondo, «nascosti dietro l’automatismo insito nei gesti più semplici e spontanei», i quali si incontrano e confrontano, catturati in un perpetuo gioco di specchi, che ci smarrisce, nel crocevia di un luogo senza orbita», de-cardinalizzato, de-nominalizzato, de-categorizzato, nel quale vanno svelandosi dinamiche altre del tempo e dello spazio. «In altre parole -continua Cristiano- si invita il fruitore ad una riflessione circa i diversi modi di percepire l’esistente, nella profonda convinzione che ogni individuo sviluppi un particolare modo di sentire – fisiologicamente e culturalmente-, il quale, è solo apparentemente riconducibile ad un unico denominatore comune»: le medesime situazioni sono vissute, perciò percepite e concepite in milioni di modi diversi, questi percorsi interni, mancando una reale apertura di ognuno alle più diverse forme di diversità, «ci rendono alieni a chi e a quanto ci circonda». Fondamentali risultano essere, a questo punto, le sue riflessioni circa la percezione dello spazio, della luce, dei corpi e del loro volume e di conseguenza il dubbio fondamentale riguardo la presunta corrispondenza di parola e cosa, sviluppate formalmente nel tentativo di porre in emersione quale distanza intercorra realmente, «tra le immagini sulle quali sono soliti riposare i nostri sensi» e la verità delle cose. Fondamentale è l’apporto del sonoro il quale contribuisce notevolmente nel formarsi di una situazione dimensionale “autonoma” nella sua alterità: «ho integrato l’installazione con una parte dedicata esclusivamente alle reazioni, che la ricezione sonora scaturisce (in relazione alla visione) nel nostro modo di determinare gli spazi, influendo non solo sull’udito, ma bensì sull’equilibrio, come pure sull’orientamento, delineando uno spazio che, tende a destabilizzare, privando volontariamente lo spettatore dei riferimenti di cui si avvale nella vita di tutti i giorni.» Si riscontra in questo sonoro, un’indagine a partire dalla dimensione, per così dire “casalinga” e “individuale”, mentre nel visivo emerge una situazione “pubblica “collettiva”. Ramunno realizza così una situazione “globale” in cui nella fusione di suono e immagine sono compresi i due fondamentali livelli della vita quotidiana: «Il contrasto recato dall’immagine di un luogo aperto (che trova nell’incrocio un sinonimo dell’esperienza condivisa), è giustapposto a una dimensione interna all’individuo, il quale porta con sè, un bagaglio raccolto singolarmente, che si palesa nello spettro di suoni i quali generano nuove traiettorie spazio-temporali, sottoforma di eco lontani che rimandano a mani sfregate, uno starnuto, passi dapprima lenti e poi in corsa, allo sbattere di portoni che portano con sé tutto il peso della loro fisicità, come imprinting, di segni indelebili fissati nel nostro subconscio». La composizione, studiata per essere mandata in loop nell’ambiente, non si struttura su di una armatura definita, «poiché non esiste metrica idonea a regolare l’imprevedibile andamento del comportamento umano» (sottolinea ancora l’autore), l’unico reale elemento di coesione, che tiene uniti la serie di accadimenti disseminati quasi “puntillisticamente”, è un tappeto di fondo ricavato da un particolare lavoro di elaborazioni digitali svolto su voci estrapolate dal normale conversare d’individui nell’ambiente a loro più familiare; ma del modo in cui questi suoni, che tutti crediamo di conoscere, sono “incontrati” normalmente non resta che una remota traccia.
Fin da giovane età si dedica alla musica e alla fotografia, compie gli studi medio-superiori presso il IV Liceo Artistico di Roma e intanto suona in diverse band locali di matrice Alternative Rock. Successivamente (ancor prima di terminare gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma) è scenografo per diversi spettacoli teatrali. Nel 2003 aderisce al gruppo “Malerischeren” con cui espone le sue opere pittoriche e fotografiche in diverse mostre in vari centri sociali nella capitale. Nel 2004 co-fonda il gruppo “Smoker Mu” in cui si occupa di musica sperimentale, Performance, Sound Art, musica per teatro e si esibisce in diverse occasioni di rilievo tra cui la Performance “Passaggi di stato… Morte di un baco da seta” tenutasi al MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea) nel Settembre 2005.
Dal 2004 apre la sua ricerca alle sperimentazioni di elaborazione digitale delle immagini fotografiche e comincia a lavorare alle sue installazioni foto-sonore.
Nel 2006 co-fonda il gruppo “Le Momo Electronique”.
Cristiano Ramunno
Doppia visione
- incroci di sensi -
Installazione foto-sonora
Questa installazione foto-sonora, non è un lavoro volto ad indagare esclusivamente quelle facoltà percettive che l’uomo adopera per dare una fisionomia (e di conseguenza un nome) alle cose del mondo. Intende piuttosto, partendo dalla riflessione circa il percepire, porsi come tramite attraverso cui accedere ad un più profondo strato della conoscenza audio-visiva: varcare le soglie del quotidiano inteso come ordinario, nel tentativo di porre l’avventore al cospetto di un’esperienza multisensoriale, dove quanto sembrerebbe oggettivamente riconosciuto, viene riportato ad un grado tale da mettere in discussione la certezza d’attendibilità con cui l’uomo contemporaneo “cataloga” le cose, le circostanze, le situazioni.
Ramunno, giovane polistrumentista e fotografo sperimentale, ci avvolge in un lembo di “terra di confine” tra il mondo a cui siamo abituati ed i mondi possibili nascosti ai nostri sensi, che qui, vedono svelarsi, nella metafora dell’incrocio, lo stato di convivenza di diversi modi possibili/impossibili di percepire, concepire e partecipare l’esperienza degli enti abitualmente celati dietro un’apparenza che non sfiora che il dorso delle cose. «Microcosmi fluttuanti» li chiama, mondi nel mondo, «nascosti dietro l’automatismo insito nei gesti più semplici e spontanei», i quali si incontrano e confrontano, catturati in un perpetuo gioco di specchi, che ci smarrisce, nel crocevia di un luogo senza orbita», de-cardinalizzato, de-nominalizzato, de-categorizzato, nel quale vanno svelandosi dinamiche altre del tempo e dello spazio. «In altre parole -continua Cristiano- si invita il fruitore ad una riflessione circa i diversi modi di percepire l’esistente, nella profonda convinzione che ogni individuo sviluppi un particolare modo di sentire – fisiologicamente e culturalmente-, il quale, è solo apparentemente riconducibile ad un unico denominatore comune»: le medesime situazioni sono vissute, perciò percepite e concepite in milioni di modi diversi, questi percorsi interni, mancando una reale apertura di ognuno alle più diverse forme di diversità, «ci rendono alieni a chi e a quanto ci circonda». Fondamentali risultano essere, a questo punto, le sue riflessioni circa la percezione dello spazio, della luce, dei corpi e del loro volume e di conseguenza il dubbio fondamentale riguardo la presunta corrispondenza di parola e cosa, sviluppate formalmente nel tentativo di porre in emersione quale distanza intercorra realmente, «tra le immagini sulle quali sono soliti riposare i nostri sensi» e la verità delle cose. Fondamentale è l’apporto del sonoro il quale contribuisce notevolmente nel formarsi di una situazione dimensionale “autonoma” nella sua alterità: «ho integrato l’installazione con una parte dedicata esclusivamente alle reazioni, che la ricezione sonora scaturisce (in relazione alla visione) nel nostro modo di determinare gli spazi, influendo non solo sull’udito, ma bensì sull’equilibrio, come pure sull’orientamento, delineando uno spazio che, tende a destabilizzare, privando volontariamente lo spettatore dei riferimenti di cui si avvale nella vita di tutti i giorni.» Si riscontra in questo sonoro, un’indagine a partire dalla dimensione, per così dire “casalinga” e “individuale”, mentre nel visivo emerge una situazione “pubblica “collettiva”. Ramunno realizza così una situazione “globale” in cui nella fusione di suono e immagine sono compresi i due fondamentali livelli della vita quotidiana: «Il contrasto recato dall’immagine di un luogo aperto (che trova nell’incrocio un sinonimo dell’esperienza condivisa), è giustapposto a una dimensione interna all’individuo, il quale porta con sè, un bagaglio raccolto singolarmente, che si palesa nello spettro di suoni i quali generano nuove traiettorie spazio-temporali, sottoforma di eco lontani che rimandano a mani sfregate, uno starnuto, passi dapprima lenti e poi in corsa, allo sbattere di portoni che portano con sé tutto il peso della loro fisicità, come imprinting, di segni indelebili fissati nel nostro subconscio». La composizione, studiata per essere mandata in loop nell’ambiente, non si struttura su di una armatura definita, «poiché non esiste metrica idonea a regolare l’imprevedibile andamento del comportamento umano» (sottolinea ancora l’autore), l’unico reale elemento di coesione, che tiene uniti la serie di accadimenti disseminati quasi “puntillisticamente”, è un tappeto di fondo ricavato da un particolare lavoro di elaborazioni digitali svolto su voci estrapolate dal normale conversare d’individui nell’ambiente a loro più familiare; ma del modo in cui questi suoni, che tutti crediamo di conoscere, sono “incontrati” normalmente non resta che una remota traccia.
Laura Santamaria
Laura Santamaria è nata a Monza nel 1976. Vive e lavora a Milano.
Ha studiato Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano (vincitrice del Premio Brera, Fondazione A. Pini, Salon I, Milano 1999), e Scultura come studente Erasmus presso Loughborough University School of Art and Design, Loughborough, Inghilterra, GB.
Ha partecipato a diversi Workshop tenuti da artisti di fama internazionale ed è stata ospite presso la residenza per artisti “Fondazione Valparaiso”, Mojacar, Espana (2005).
Nel 1999 ha tenuto la sua prima personale “White Circle” alla Great Hall Loughborough University di Loughborough, Inghilterra, nel 2003 “Camera obscura” installazione visiva alla Bibliothek Sommeracademie di Salzburg in Austria e nel 2005 ha esposto “Lo Spirito della Casa” installazione site specific realizzata per la Mostra Personale presso Borgovico 33 a Como .
Ha esposto i suoi lavori (oggetti, fotografie, installazioni, pitture, performance) in Italia, Austria, Spagna, Slovenia, Gran Bretagna, Francia, Lituania, Portogallo, prendendo parte a numerose collettive e manifestazioni, tra le quali : “Jeune Creation Europeenne”, Salon Itinerant d’ Art Contemporain, commissario artistico Italia S. Solimano, E. Marasco (2006-07); “Arte e Sud”, a cura di A. Arevalo, R. A. Musumeci, M. G. Chiavaro, circuito GAI Archivio Giovani Artisti; “Arhipelag”, a cura di Krea, Limb, Prologo; “Talk to the City” a cura di CareOf; “D.A.B.”, a cura di A. Mattirolo, A. Vettese, A. Cibic, e O. Corradini in collaborazione con circuito GAI, DARC, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, IBACN; “BIJCEM”, Biennale dei Giovani Artisti dell’ Europa e del Mediterraneo, (Gruppo Malacoca) G.A.I. Archivio dei Giovani Artisti città di Milano, (2005); “ACHTUNG!” a cura di G. Hendricks; RE: INVITO1, a cura di Claudia Nanni e Antonija Majaca (2004); “Tracce di un Seminario” studenti del Corso Superiore di Arte Visiva Fondazione Antonio Ratti, a cura di A. Vettese, G. di Pietrantonio (2003); “Via Libera”, Mostra di fine Corso Superire di Arti Visive Fondazione Antonio Ratti tenuto da Giulio Paolini, a cura di A. Vettese, G. di Pietrantonio (2002); “Menotrenta” a cura di G. Bertolino (2001); “Salon I” a cura di G. di Pietrantonio (1999).
Nel 2007 partecipa al progetto di archivio web “TRANSMISSION.06/Mimesis” curato da ProgettoZeroPiù, in collaborazione con LabMimesis, Fondazione Bevilacqua la Masa , IUAV Venezia, Diesel.
Laura Santamaria
HIPPIES
Fotografie digitali – sequenza fotografica
n.3, 150 x 100 cm
Hippies è un viaggio nello spazio e nel tempo, spazio condiviso, tempo in comune, per volontà o per forza, in mezzo al mare, verso meta ignota. Lo scorrere del tempo si traduce nelle sovraposizioni di movimento di un equipaggio che tace la sua storia, le relazioni tra i membri… Di queste restano i “vapori” di corpi fluttuanti che si fondono e si confondono, unendosi come in un corpo unico. Questa stratificazione di punti vista del medesimo luogo in movimento è metafora della convivenza di plurime diversità nel contesto dell’imbarcazione: le immagini che ne risultano sommano i modi in cui la medesima circostanza è vissuta dalle diverse persone che la partecipano. Nessuna delle singole visioni avrebbe fotografato la verità di questa situazione: solo nascondendo, alterando, l’apparenza di ognuno dei singoli e cercando di «armonizzare» le diverse visioni possibili ci si avvicina alla costruzione di un’immagine che anela al vero, solo venendo meno alle modalità con cui i singoli occhi fotografano i contesti visivi si vede “oltre”, si fotografa la verità, il tempo nel suo perpetuo divenire, mutare, essere altro, altrove! Tutto ciò Laura Santamaria lo tiene bene a mente e lo traduce in questo imponente trittico in cui ognuno di noi è catturato, preso nel viaggio, risucchiato in quella dimensione spazio/temporale che è l’opera, la quale è stata studiata per proiettare il visitatore all’interno dell’immagine, perché possa condividere anch’egli quel tempo trascorso e così sempre vivo, compartecipato. Su questa imbarcazione non vi sono clandestini, non vi sono gerarchie di sorta, ognuno concorre con la propria visuale alla formazione di un luogo mobile in cui «non esistono certezze, né punti fermi, si è uguali, si è spinti a trovare armonia per poter meglio condividere lo spazio circoscritto.»
Ha studiato Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano (vincitrice del Premio Brera, Fondazione A. Pini, Salon I, Milano 1999), e Scultura come studente Erasmus presso Loughborough University School of Art and Design, Loughborough, Inghilterra, GB.
Ha partecipato a diversi Workshop tenuti da artisti di fama internazionale ed è stata ospite presso la residenza per artisti “Fondazione Valparaiso”, Mojacar, Espana (2005).
Nel 1999 ha tenuto la sua prima personale “White Circle” alla Great Hall Loughborough University di Loughborough, Inghilterra, nel 2003 “Camera obscura” installazione visiva alla Bibliothek Sommeracademie di Salzburg in Austria e nel 2005 ha esposto “Lo Spirito della Casa” installazione site specific realizzata per la Mostra Personale presso Borgovico 33 a Como .
Ha esposto i suoi lavori (oggetti, fotografie, installazioni, pitture, performance) in Italia, Austria, Spagna, Slovenia, Gran Bretagna, Francia, Lituania, Portogallo, prendendo parte a numerose collettive e manifestazioni, tra le quali : “Jeune Creation Europeenne”, Salon Itinerant d’ Art Contemporain, commissario artistico Italia S. Solimano, E. Marasco (2006-07); “Arte e Sud”, a cura di A. Arevalo, R. A. Musumeci, M. G. Chiavaro, circuito GAI Archivio Giovani Artisti; “Arhipelag”, a cura di Krea, Limb, Prologo; “Talk to the City” a cura di CareOf; “D.A.B.”, a cura di A. Mattirolo, A. Vettese, A. Cibic, e O. Corradini in collaborazione con circuito GAI, DARC, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, IBACN; “BIJCEM”, Biennale dei Giovani Artisti dell’ Europa e del Mediterraneo, (Gruppo Malacoca) G.A.I. Archivio dei Giovani Artisti città di Milano, (2005); “ACHTUNG!” a cura di G. Hendricks; RE: INVITO1, a cura di Claudia Nanni e Antonija Majaca (2004); “Tracce di un Seminario” studenti del Corso Superiore di Arte Visiva Fondazione Antonio Ratti, a cura di A. Vettese, G. di Pietrantonio (2003); “Via Libera”, Mostra di fine Corso Superire di Arti Visive Fondazione Antonio Ratti tenuto da Giulio Paolini, a cura di A. Vettese, G. di Pietrantonio (2002); “Menotrenta” a cura di G. Bertolino (2001); “Salon I” a cura di G. di Pietrantonio (1999).
Nel 2007 partecipa al progetto di archivio web “TRANSMISSION.06/Mimesis” curato da ProgettoZeroPiù, in collaborazione con LabMimesis, Fondazione Bevilacqua la Masa , IUAV Venezia, Diesel.
Laura Santamaria
HIPPIES
Fotografie digitali – sequenza fotografica
n.3, 150 x 100 cm
Hippies è un viaggio nello spazio e nel tempo, spazio condiviso, tempo in comune, per volontà o per forza, in mezzo al mare, verso meta ignota. Lo scorrere del tempo si traduce nelle sovraposizioni di movimento di un equipaggio che tace la sua storia, le relazioni tra i membri… Di queste restano i “vapori” di corpi fluttuanti che si fondono e si confondono, unendosi come in un corpo unico. Questa stratificazione di punti vista del medesimo luogo in movimento è metafora della convivenza di plurime diversità nel contesto dell’imbarcazione: le immagini che ne risultano sommano i modi in cui la medesima circostanza è vissuta dalle diverse persone che la partecipano. Nessuna delle singole visioni avrebbe fotografato la verità di questa situazione: solo nascondendo, alterando, l’apparenza di ognuno dei singoli e cercando di «armonizzare» le diverse visioni possibili ci si avvicina alla costruzione di un’immagine che anela al vero, solo venendo meno alle modalità con cui i singoli occhi fotografano i contesti visivi si vede “oltre”, si fotografa la verità, il tempo nel suo perpetuo divenire, mutare, essere altro, altrove! Tutto ciò Laura Santamaria lo tiene bene a mente e lo traduce in questo imponente trittico in cui ognuno di noi è catturato, preso nel viaggio, risucchiato in quella dimensione spazio/temporale che è l’opera, la quale è stata studiata per proiettare il visitatore all’interno dell’immagine, perché possa condividere anch’egli quel tempo trascorso e così sempre vivo, compartecipato. Su questa imbarcazione non vi sono clandestini, non vi sono gerarchie di sorta, ognuno concorre con la propria visuale alla formazione di un luogo mobile in cui «non esistono certezze, né punti fermi, si è uguali, si è spinti a trovare armonia per poter meglio condividere lo spazio circoscritto.»
Lino Strangis
Nato a Lamezia Terme (cz) il 19/01/1981, vive e lavora a Roma.
Laureato in filosofia (indirizzo Estetica) con una tesi teorica sulla Videoarte, fin dall’infanzia studia musica e dalla prima adolescenza si dedica alle arti visive (inizialmente pittura poi anche scultura). Nella seconda metà degli anni ‘90, nel corso degli studi classici, è fondatore e co-fondatore di diverse band prevalentemente di stampo noise-rock e partecipa a diverse mostre (locali), accostandosi fin da subito ai linguaggi delle avanguardie. Con i “Mystress-no-eyes” (di cui è autore di testi e musiche) nel 2002 incide un ep per la Narcolettica records. Dal 2002 si occupa di Sound Art e arti installative/audio-visive digitali e dal 2005 si dedica esclusivamente a queste. Nel 2003 fonda il gruppo “malerischeren” con cui organizza e partecipa a diverse mostre in vari centri sociali nella capitale e nel sud d’Italia e nel 2004 fonda il gruppo “Smoker mu”, il quale si occupa di musica sperimentale, Performance, Sound Art e musica per teatro. Dal 2005 espone le sue opere in diverse collettive di livello internazionale tra cui “Give Me Two Times, Video d’Arte e Nuove Ricerche”(2006, MLAC, Museo laboratorio di Arte Contemporanea, a cura di Giorgia Calò) e tiene la sua prima personale dal titolo “Passaggi di Stato” (2005, MLAC, Museo, Laboratorio di Arte Contemporanea, a cura di Simonetta Lux) .
Nel 2006 fonda il gruppo “Le Momo Electronique”. La sua ricerca è tutta votata alla realizzazione di opere “totali”, ambienti in cui le sperimentazioni sonore convivono con quelle visive nel perenne inseguimento «dell’emersione dell’altro che è in ogni cosa». Non indulge (nei video come nelle video e foto-pitture) nell’utilizzo di filtri ed effetti digitali, anzi ai processi d’alterazione messi in atto grazie a questi attribuisce una complessa e profonda concettualità.
Lino Strangis
Supernatural Chance
Installazione audio-visiva site specific
Per questa installazione Strangis piazza all’interno di una piccola nicchia nel muro del sotterraneo del Castello uno dei suoi Video-Carillon costruito a partire da una ripresa (scorcio di paesaggio naturale) realizzata all’esterno del medesimo edificio, diffondendo invece il sonoro nell’intera sala. L’opera apre così in primo luogo ad un particolare dialogo tra interno ed esterno in cui la visione diviene “via di fuga” verso l’esterno, «uno spiraglio tramite il quale, se giustamente disposti, “volgersi altrove”, “guardare oltre”». A completare l’opera una stampa lamda su alluminio, una di quelle che chiama foto-video-pitture: non semplici still, bensì fotografie dei suoi video in trasmissione sullo schermo televisivo, elaborate a loro volta in un loro originale modo, non presente nel video stesso: «non mi piace -dice- l’idea di realizzare un lavoro che sia solo una sorta di documentazione di un’altra opera, voglio che ogni opera abbia un carattere assolutamente proprio e per di più, fotografando il teleschermo riesco ad ottenere delle textures di luce inottenibili in altro modo».
Non è certo un caso che questa opera abiti nel luogo più buio e cupo dell’antico edificio e non è un caso che vi sia una relazione di contrasto nella struttura dell’audio-visione tra il visivo (ripresa esterna in un giorno di sole), posto in posizione di apparente marginalità, ed il sonoro, diffuso nell’ambiente, caratterizzato da toni cupi, i quali vanno a integrarsi perfettamente con il carattere atmosferico dell’ambiente architettonico. «Volevo costruire una metafora precisa (seppur “infinita”) e volevo che l’architettura (in tutta la sua antica distanza dalle mie audio-visioni digitali) si integrasse completamente con il mio lavoro, che ne fosse parte integrante, e viceversa».
Ma qual è la metafora? Perché rinunciare, per metterla in atto, alla possibilità di una grande proiezione certamente meglio capace di valorizzare (almeno esteticamente) le sue elaborazioni digitali? Non stento a chiamare le sue motivazioni “concettuali”... Il sotterraneo diviene metafora «della cupa ed angosciosa piattezza a cui un diffusissimo retaggio positivista riduce la nostra vita quotidiana, banalizzando, nell’illusione secolare di una conoscenza antropocentrica, ogni cosa con cui si confronta». Più semplicemente si allude a quella tendenza ad «adagiarsi sul luogo comune, sullo stabilito per regola, per abitudine, per una coatta chiusura mentale, quella ottusa indisponibilità all’apertura nei confronti delle più diverse forme di alterità che è tipica dell’uomo occidentale, il quale ancora crede che la sua sia l’esatta visione del mondo». Questa tendenza, secondo Strangis ci allontana sempre più dalla «verità delle cose e dalla possibilità di vivere il più possibile in sereno accordo con l’imprevedibilità e l’estrema ricchezza dell’esistenza». Il visivo nella nicchia invece è la chance, la possibilità sempre aperta, a chi la cerchi, di sentire oltre, altrimenti, «superare le barriere del mondano, aprendosi alla mutevole essenza dell’essere». Ecco perché Strangis nei suoi video-carillon ci mostra il medesimo frammento temporale all’infinito, lo stesso fenomeno alterato in continue metamorfosi digitali: per porre in evidenza il perpetuo mutare di ogni cosa, non solo il movimento ma «la motilità» impercettibile ai sensi umani. «I miei video-carillon sono processi di formazione/ri-formazione digitale metaforici delle continue formazioni/ri-formazioni naturali. Quello che faccio è alterare l’apparenza a cui siamo abituati per farla emergere come tale, in queste nature “alienate” quindi si rende “sensibile”, tramite un artificio, ciò che della natura resta altrimenti nascosto, cioè che ogni ente è sempre altro da ciò che di esso ci è concesso di cogliere.» Strangis si riferisce in particolare alla natura perché è convinto che in essa, nei suoi “meccanismi”, si celi la chiave di una conoscenza “superiore” in cui sono racchiusi tutti i livelli dell’esistenza, per questo ci tiene a specificare che le sue opere sono «un invito all’apertura verso ogni forma di diversità, ad uscire dalle certezze dei propri schemi e disporsi ad accogliere sempre nuove possibilità di “visione”.»
Laureato in filosofia (indirizzo Estetica) con una tesi teorica sulla Videoarte, fin dall’infanzia studia musica e dalla prima adolescenza si dedica alle arti visive (inizialmente pittura poi anche scultura). Nella seconda metà degli anni ‘90, nel corso degli studi classici, è fondatore e co-fondatore di diverse band prevalentemente di stampo noise-rock e partecipa a diverse mostre (locali), accostandosi fin da subito ai linguaggi delle avanguardie. Con i “Mystress-no-eyes” (di cui è autore di testi e musiche) nel 2002 incide un ep per la Narcolettica records. Dal 2002 si occupa di Sound Art e arti installative/audio-visive digitali e dal 2005 si dedica esclusivamente a queste. Nel 2003 fonda il gruppo “malerischeren” con cui organizza e partecipa a diverse mostre in vari centri sociali nella capitale e nel sud d’Italia e nel 2004 fonda il gruppo “Smoker mu”, il quale si occupa di musica sperimentale, Performance, Sound Art e musica per teatro. Dal 2005 espone le sue opere in diverse collettive di livello internazionale tra cui “Give Me Two Times, Video d’Arte e Nuove Ricerche”(2006, MLAC, Museo laboratorio di Arte Contemporanea, a cura di Giorgia Calò) e tiene la sua prima personale dal titolo “Passaggi di Stato” (2005, MLAC, Museo, Laboratorio di Arte Contemporanea, a cura di Simonetta Lux) .
Nel 2006 fonda il gruppo “Le Momo Electronique”. La sua ricerca è tutta votata alla realizzazione di opere “totali”, ambienti in cui le sperimentazioni sonore convivono con quelle visive nel perenne inseguimento «dell’emersione dell’altro che è in ogni cosa». Non indulge (nei video come nelle video e foto-pitture) nell’utilizzo di filtri ed effetti digitali, anzi ai processi d’alterazione messi in atto grazie a questi attribuisce una complessa e profonda concettualità.
Lino Strangis
Supernatural Chance
Installazione audio-visiva site specific
Per questa installazione Strangis piazza all’interno di una piccola nicchia nel muro del sotterraneo del Castello uno dei suoi Video-Carillon costruito a partire da una ripresa (scorcio di paesaggio naturale) realizzata all’esterno del medesimo edificio, diffondendo invece il sonoro nell’intera sala. L’opera apre così in primo luogo ad un particolare dialogo tra interno ed esterno in cui la visione diviene “via di fuga” verso l’esterno, «uno spiraglio tramite il quale, se giustamente disposti, “volgersi altrove”, “guardare oltre”». A completare l’opera una stampa lamda su alluminio, una di quelle che chiama foto-video-pitture: non semplici still, bensì fotografie dei suoi video in trasmissione sullo schermo televisivo, elaborate a loro volta in un loro originale modo, non presente nel video stesso: «non mi piace -dice- l’idea di realizzare un lavoro che sia solo una sorta di documentazione di un’altra opera, voglio che ogni opera abbia un carattere assolutamente proprio e per di più, fotografando il teleschermo riesco ad ottenere delle textures di luce inottenibili in altro modo».
Non è certo un caso che questa opera abiti nel luogo più buio e cupo dell’antico edificio e non è un caso che vi sia una relazione di contrasto nella struttura dell’audio-visione tra il visivo (ripresa esterna in un giorno di sole), posto in posizione di apparente marginalità, ed il sonoro, diffuso nell’ambiente, caratterizzato da toni cupi, i quali vanno a integrarsi perfettamente con il carattere atmosferico dell’ambiente architettonico. «Volevo costruire una metafora precisa (seppur “infinita”) e volevo che l’architettura (in tutta la sua antica distanza dalle mie audio-visioni digitali) si integrasse completamente con il mio lavoro, che ne fosse parte integrante, e viceversa».
Ma qual è la metafora? Perché rinunciare, per metterla in atto, alla possibilità di una grande proiezione certamente meglio capace di valorizzare (almeno esteticamente) le sue elaborazioni digitali? Non stento a chiamare le sue motivazioni “concettuali”... Il sotterraneo diviene metafora «della cupa ed angosciosa piattezza a cui un diffusissimo retaggio positivista riduce la nostra vita quotidiana, banalizzando, nell’illusione secolare di una conoscenza antropocentrica, ogni cosa con cui si confronta». Più semplicemente si allude a quella tendenza ad «adagiarsi sul luogo comune, sullo stabilito per regola, per abitudine, per una coatta chiusura mentale, quella ottusa indisponibilità all’apertura nei confronti delle più diverse forme di alterità che è tipica dell’uomo occidentale, il quale ancora crede che la sua sia l’esatta visione del mondo». Questa tendenza, secondo Strangis ci allontana sempre più dalla «verità delle cose e dalla possibilità di vivere il più possibile in sereno accordo con l’imprevedibilità e l’estrema ricchezza dell’esistenza». Il visivo nella nicchia invece è la chance, la possibilità sempre aperta, a chi la cerchi, di sentire oltre, altrimenti, «superare le barriere del mondano, aprendosi alla mutevole essenza dell’essere». Ecco perché Strangis nei suoi video-carillon ci mostra il medesimo frammento temporale all’infinito, lo stesso fenomeno alterato in continue metamorfosi digitali: per porre in evidenza il perpetuo mutare di ogni cosa, non solo il movimento ma «la motilità» impercettibile ai sensi umani. «I miei video-carillon sono processi di formazione/ri-formazione digitale metaforici delle continue formazioni/ri-formazioni naturali. Quello che faccio è alterare l’apparenza a cui siamo abituati per farla emergere come tale, in queste nature “alienate” quindi si rende “sensibile”, tramite un artificio, ciò che della natura resta altrimenti nascosto, cioè che ogni ente è sempre altro da ciò che di esso ci è concesso di cogliere.» Strangis si riferisce in particolare alla natura perché è convinto che in essa, nei suoi “meccanismi”, si celi la chiave di una conoscenza “superiore” in cui sono racchiusi tutti i livelli dell’esistenza, per questo ci tiene a specificare che le sue opere sono «un invito all’apertura verso ogni forma di diversità, ad uscire dalle certezze dei propri schemi e disporsi ad accogliere sempre nuove possibilità di “visione”.»
STUDIO AZZURRO
Studio Azzurro è un gruppo di ricerca artistica, che si esprime con i linguaggi delle nuove tecnologie. E’ stato fondato a Milano nel 1982 da Fabio Cirifino (fotografia), Paolo Rosa (arti visive e cinema) e Leonardo Sangiorgi (grafica e animazione). Nel 1995 si è unito al gruppo Stefano Roveda, esperto in sistemi informatici e tecnologie interattive.
Fin dagli esordi, nel continuo dialogo tra competenze diverse, abbracciando i vari campi del sapere, dalle scienze alle arti, alla filosofia, e muovendosi tra videoambienti, ambienti sensibili e interattivi, performance teatrali e film, si propone di ricreare una sorta di spazio di elaborazione creativa, aperto e dinamico, impegnato nel tentativo non semplice di ricucire la profonda frattura fra arti, scienza e società.
Tra le loro esposizioni e spettacoli più importanti ricordiamo: ”Il Nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg)” Palazzo Fortuny Museum, Venice (1984); ”La camera astratta” UBU Prize 1988 for Theatrical Research, Documenta 8, Kassel (1987); ”Kepler’s traum” S.I.A.E. Prize 1990 for opera, Brucknerhaus, Ars Electronica, Linz (1990); ”Videoambienti 1982-1992” Mudima Foundation, Milano e Laforet Museums of Kokura, Nijgata, Tokyo (1992); ”Tavoli (perché queste mani mi toccano?)” Francesca Alinovi Prize ’95, “Oltre il Villaggio Globale”, Palazzo dell’Arte, Triennale of Milano (1995); ”Coro” First prize for best multimedia project from the Transmedia Videofestival of Berlin, Mole Antonelliana, Torino (1995); ”The Cenci” Teatro Almeida, London (1997); ”Ambienti sensibili” Palazzo delle Esposizioni, Rome, Niitsu Art Forum, Japan (1999); ”Aristocratic Artisans” Ace Gallery, New York (2000); ”Megalopoli” Biennale di Architettura, Venice (2000); Museo audiovisivo della Resistenza, Fosdinovo (2000); ”Tamburi” ICC, Tokyo (2001); “Meditazioni Mediterraneo” “In viaggio attraverso cinque paesaggi instabili” Castel Sant’Elmo, Naples, (2002), Musée de la Vieille Charité, Marseille (2003) Mori Art Museum, Tokyo (2003); “Frammenti della Battaglia” “Coro”, Festival International d’Art Vidéo FIAV, Villa des Arts, Casablanca (2003–2004); “Neither” Opernhaus, Stuttgart (2004).
Fanno parte di Studio Azzurro: Fabio Cirifino, Paolo Rosa, Stefano Roveda e Leonardo Sangiorgi, inoltre collaborano: Antonio Augugliaro, Marco Barsottini, Alberto Bernocchi Missaglia, Reiner Bumke, Mario Coccimiglio, Ornella Costanzo, Laura D’Amore, Anna De Benedittis, Daniele De Palma, Laura Gatta, Elisa Giardina Papa, Tommaso Leddi, Silvia Pellizari, Lorenzo Sarti, Emanuele Siboni, Delphine Tonglet.
Studio Azzurro
Trittico Marghera
video sincronizzato, 2000
durata: 21' 35"
progetto: Fabio Cirifino, Paolo Rosa
regia: Paolo Rosa
fotografia: Fabio Cirifino
operatore: Mario Coccimiglio
montaggio sincronizzato: Fanny Molteni
collaborazione alle riprese: Fanny Molteni, Antonio Di Napoli
coordinamento organizzativo: Rita Bertoni
produzione: Studio Azzurro per Comune di Venezia
caratteristiche tecniche: immagini sincronizzate su 3 schermi
prima presentazione: “Identificazione di un paesaggio”, Padiglione Antares – Marghera
Tre riquadri si aprono nel buio e lasciano emergere gli immensi spazi di Porto Marghera (dal veneziano “mar-ghe-gera” ossia “c'era il mare”, ad indicare la trasformazione dell'originario ambiente naturale delle lagune che emerge dall'acqua con la bassa marea).
Più punti di vista, come anelli di una catena, proposti contemporaneamente, come occhi vaganti nello spazio che osservano e indagano: «a volte coincidono come succede allo sguardo, altre si dissociano come avviene nel pensiero», “danzando” in una sincronia disseminata di sfasamenti, che “scorre” l’ambiente, frammentandolo e spaesandolo nel passaggio/paesaggio da un riquadro ad un altro, fino a formare, negli incastri visivi, ambienti mobili di grande suggestione.
«Il nostro vedere si materializza sui tre schermi che sincronizzano le impressioni, le emozioni e le paure» generando frammenti di surrealtà tra le maglie della realtà.
Tre finestre su un luogo che nella “differenza” emergente dalla tri-ocularità, “espande il suo corpo”, lo muta aggiungendo ai dettagli presenti dettagli che si presentano nella triplice audio-visione, nel processo di esplorazione degli ambienti dismessi. Lo spettatore è condotto in un viaggio che, fluido e ritmico, lo trasporta a diverse velocità, tra le architetture industriali, i viali, i suoni, dal macro al micro, dall’industriale al naturale, tra «le grandi cattedrali, gli intrecci arrugginiti, i bunker di cemento armato insidiati da minuscole fessure, piccoli paradisi per nuova vegetazione» e la fauna che striscia sulla terra, la quale riconquista i territori che gli erano stati sottratti. «Piccole impronte che si scontrano- e si incontrano- con gli immensi spazi –solo in apparenza- vuoti o devastati». «Lo sguardo –infatti- indaga, ricerca e “riquadra” le microscopiche presenze nelle pozze, sotto le polveri, tra la leggerezza delle piume.» Si scopre e si riscopre lo spazio con le sue forme e le sue materie, ma anche il tempo, che si insinua e viaggia tra presente e passato, tra ciò che resta, le strutture come traccia di quello che è stato e ciò che era, rivisto (e udito) nelle immagini e nei suoni di un tempo in cui l’area pullulava di persone e si muoveva ai frenetici ritmi del lavoro. Presenza e assenza si intrecciano e il medesimo luogo si svela come una stratificazione dei luoghi diversi che sono andati a sovrapporsi nel tempo.
Fin dagli esordi, nel continuo dialogo tra competenze diverse, abbracciando i vari campi del sapere, dalle scienze alle arti, alla filosofia, e muovendosi tra videoambienti, ambienti sensibili e interattivi, performance teatrali e film, si propone di ricreare una sorta di spazio di elaborazione creativa, aperto e dinamico, impegnato nel tentativo non semplice di ricucire la profonda frattura fra arti, scienza e società.
Tra le loro esposizioni e spettacoli più importanti ricordiamo: ”Il Nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg)” Palazzo Fortuny Museum, Venice (1984); ”La camera astratta” UBU Prize 1988 for Theatrical Research, Documenta 8, Kassel (1987); ”Kepler’s traum” S.I.A.E. Prize 1990 for opera, Brucknerhaus, Ars Electronica, Linz (1990); ”Videoambienti 1982-1992” Mudima Foundation, Milano e Laforet Museums of Kokura, Nijgata, Tokyo (1992); ”Tavoli (perché queste mani mi toccano?)” Francesca Alinovi Prize ’95, “Oltre il Villaggio Globale”, Palazzo dell’Arte, Triennale of Milano (1995); ”Coro” First prize for best multimedia project from the Transmedia Videofestival of Berlin, Mole Antonelliana, Torino (1995); ”The Cenci” Teatro Almeida, London (1997); ”Ambienti sensibili” Palazzo delle Esposizioni, Rome, Niitsu Art Forum, Japan (1999); ”Aristocratic Artisans” Ace Gallery, New York (2000); ”Megalopoli” Biennale di Architettura, Venice (2000); Museo audiovisivo della Resistenza, Fosdinovo (2000); ”Tamburi” ICC, Tokyo (2001); “Meditazioni Mediterraneo” “In viaggio attraverso cinque paesaggi instabili” Castel Sant’Elmo, Naples, (2002), Musée de la Vieille Charité, Marseille (2003) Mori Art Museum, Tokyo (2003); “Frammenti della Battaglia” “Coro”, Festival International d’Art Vidéo FIAV, Villa des Arts, Casablanca (2003–2004); “Neither” Opernhaus, Stuttgart (2004).
Fanno parte di Studio Azzurro: Fabio Cirifino, Paolo Rosa, Stefano Roveda e Leonardo Sangiorgi, inoltre collaborano: Antonio Augugliaro, Marco Barsottini, Alberto Bernocchi Missaglia, Reiner Bumke, Mario Coccimiglio, Ornella Costanzo, Laura D’Amore, Anna De Benedittis, Daniele De Palma, Laura Gatta, Elisa Giardina Papa, Tommaso Leddi, Silvia Pellizari, Lorenzo Sarti, Emanuele Siboni, Delphine Tonglet.
Studio Azzurro
Trittico Marghera
video sincronizzato, 2000
durata: 21' 35"
progetto: Fabio Cirifino, Paolo Rosa
regia: Paolo Rosa
fotografia: Fabio Cirifino
operatore: Mario Coccimiglio
montaggio sincronizzato: Fanny Molteni
collaborazione alle riprese: Fanny Molteni, Antonio Di Napoli
coordinamento organizzativo: Rita Bertoni
produzione: Studio Azzurro per Comune di Venezia
caratteristiche tecniche: immagini sincronizzate su 3 schermi
prima presentazione: “Identificazione di un paesaggio”, Padiglione Antares – Marghera
Tre riquadri si aprono nel buio e lasciano emergere gli immensi spazi di Porto Marghera (dal veneziano “mar-ghe-gera” ossia “c'era il mare”, ad indicare la trasformazione dell'originario ambiente naturale delle lagune che emerge dall'acqua con la bassa marea).
Più punti di vista, come anelli di una catena, proposti contemporaneamente, come occhi vaganti nello spazio che osservano e indagano: «a volte coincidono come succede allo sguardo, altre si dissociano come avviene nel pensiero», “danzando” in una sincronia disseminata di sfasamenti, che “scorre” l’ambiente, frammentandolo e spaesandolo nel passaggio/paesaggio da un riquadro ad un altro, fino a formare, negli incastri visivi, ambienti mobili di grande suggestione.
«Il nostro vedere si materializza sui tre schermi che sincronizzano le impressioni, le emozioni e le paure» generando frammenti di surrealtà tra le maglie della realtà.
Tre finestre su un luogo che nella “differenza” emergente dalla tri-ocularità, “espande il suo corpo”, lo muta aggiungendo ai dettagli presenti dettagli che si presentano nella triplice audio-visione, nel processo di esplorazione degli ambienti dismessi. Lo spettatore è condotto in un viaggio che, fluido e ritmico, lo trasporta a diverse velocità, tra le architetture industriali, i viali, i suoni, dal macro al micro, dall’industriale al naturale, tra «le grandi cattedrali, gli intrecci arrugginiti, i bunker di cemento armato insidiati da minuscole fessure, piccoli paradisi per nuova vegetazione» e la fauna che striscia sulla terra, la quale riconquista i territori che gli erano stati sottratti. «Piccole impronte che si scontrano- e si incontrano- con gli immensi spazi –solo in apparenza- vuoti o devastati». «Lo sguardo –infatti- indaga, ricerca e “riquadra” le microscopiche presenze nelle pozze, sotto le polveri, tra la leggerezza delle piume.» Si scopre e si riscopre lo spazio con le sue forme e le sue materie, ma anche il tempo, che si insinua e viaggia tra presente e passato, tra ciò che resta, le strutture come traccia di quello che è stato e ciò che era, rivisto (e udito) nelle immagini e nei suoni di un tempo in cui l’area pullulava di persone e si muoveva ai frenetici ritmi del lavoro. Presenza e assenza si intrecciano e il medesimo luogo si svela come una stratificazione dei luoghi diversi che sono andati a sovrapporsi nel tempo.
ALTROEQUIPE
Il Gruppo ALTRO (1972/1981) si costituisce nel 1972 ed è formato da pittori, musicisti, danzatori, architetti, grafici, fotografi. Gli artisti lavorano collettivamente, con una metodologia da loro definita “intercodice”. Su questa ipotesi innovativa il Gruppo ALTRO realizza mostre, esperimenti didattici e spettacoli teatrali.
Dal 1981 al 1985 l’attività dell’Associazione, divenuta Gruppo Sperimentale Movimento Suono Spazio Immagine, guidata da Lucia Latour (coreografa e architetto) in collaborazione con Luigi Ceccarelli (compositore), si sposta verso nuove tecniche del movimento e l’azione si trasferisce nell’ambito della danza contemporanea. La metodologia di riferimento è l’improvvisazione con una concezione europea, legata ai temi della memoria, all’automatismo e alla visionarietà.
La fondazione della Compagnia Altroteatro (1986/1999) produce una nuova fase ideativa: la tecnologia della multivisione, sincronizzata al suono e alla stesura coreografica, libera il corpo dai tradizionali riferimenti spaziali, e lo situa in nuovi campi energetici e di eccentricità gravitazionale. Ci si allontana dalle tecniche d’improvvisazione per quelle di montaggio: la “machinerie” scenica, viene pensata come un organismo che produce senso ed emozioni.
Nel 2000, Altroteatro avvia il progetto “Momentanea” e predispone la ricerca coreografica in un rapporto fondamentale con l’architettura contemporanea e le nuove tecnologie, nasce così una preziosa collaborazione con l’architetto Orazio Carpenzano. L’immaginario coreografico si concentra sul “corpo-che-si-fa-spazio”, e l’architettura si produce in un “farsi corpo”. La scena live è concepita come un organismo vivente, che muta per necessità performativa. Di questo periodo è lo spettacolo “Physico”(2000 - 2001), coreografia di Lucia Latour, architettura di Orazio Carpenzano, musica elettronica dal vivo di David Baritoni e viene pubblicato il libro “Physico Fusione danza-architettura”, Universale di Architettura, editore Testo&Immagine, Torino, 2003. Nel 2002, Altroteatro inizia un’importante collaborazione con il Dipartimento di Scienze del Movimento Umano e dello Sport DiSMUS/IUSM, diretto da Aurelio Cappozzo, e con POOL FACTORY - Centro di Computer Animation, diretto da Flaviano Pizzardi.
Nel 2003 si costituisce ALTROEQUIPE, un gruppo di ricerca multimediale formato dai componenti della Compagnia Altroteatro, dall’architetto Orazio Carpenzano, docente presso il DAAC - Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, da Marco Donati e Mounir Zok, ricercatori del DiSMUS, Dipartimento di Scienze del Movimento Umano e dello Sport/I.U.S.M., da Flaviano Pizzardi, creative director di POOL FACTORY, Centro di Computer Animation, da Andrea Carfagna, regia video di MUSIC HOUSE, fondato sull’uso della Motion Capture, per la cattura tridimensionale del movimento, e l’applicazione della Motion Graphics, per l’animazione in 3D.
La ricerca definita “Organismi Performativi Reversibili”, ha come ambito di verifica prioritario la scena live, e si propone la produzione di diverse forme spettacolari in ambienti interattivi.
Di questo periodo sono gli spettacoli “Sylvatica”(2003 - 2004), “Prototypa”(2004), “Pycta” (2005-2006) coreografie di Lucia Latour, architetture di Orazio Carpenzano, musiche elettroniche dal vivo di David Barittoni, Motion Capture - DiSMUS/IUSM, Motion Graphics - POOL FACTORY.
La Compagnia Altroteatro è attualmente costituita da Lucia Latour, coreografa e direttore artistico, dai danzatori Pamela Caschetto, Cristina Falasca, Pavla Jaroslava Pohlreichová, Cristina Morelli, Simona Zaccagno, David Barittoni, performer del suono, Luana Piermarini, organizzazione e responsabile della scena, Diletta Simotti, segreteria e ufficio stampa.
La Compagnia Altroteatro ha presentato i suoi spettacoli nei più importanti teatri e festival italiani e, nel corso della sua attività, ha svolto tournée in Francia, Germania, Portogallo, Croazia, Russia e Argentina.
ALTROEQUIPE
PYCTA
Trailer, 2006
ALTRO - O. CARPENZANO - DiSMUS/IUSM - POOL FACTORY - MUSIC HOUSE - TEATRO VASCELLO - AURION s.r.l.
durata: 15' 56"
coreografia: Lucia Latour
architettura: Orazio Carpenzano
musica elettronica live/motion capture: David Barittoni
art director motion graphics: Flaviano Pizzardi
motion capture live: Marco Donati, Mounir Zok
design luci: Loїc Hamelin
sistema videoproiezioni: Andrea Carfagna
sistema utilizzato Motion Capture VICON Real Time, DiSMUS/IUSM
consulenza motion capture: AURION s.r.l.
danzatori: Marta Capitani, Pamela Caschetto, Sara Filipponi, Silvia Guasto, Luna Paese, Mirando Secondari, Simona Zaccagno
operatore motion graphics: Daniele Zacchi
assistente al set tecnologico / comunicazione digitale: Tiziana Amicuzi
amministrazione e direttore di scena: Luana Piermarini
organizzazione e ufficio stampa: Diletta Simotti
materiali di scena: ALTRO
sarta: Anna Cesari
website e multimedia CD: Alessandro Uliana
foto: Massimiliano Botticelli, Riccardo De Antonis
video maker performance: Roberto Carotenuto
video maker workshop: Stefano Alegnini
PYCTA, un micromondo stereoplastico
PYCTA è spettacolo multimediale che genera uno spazio plurale , che non ha dimensioni, e che diventa solamente “modello spaziale”, costituito dalla danza, dal suono, dall’architettura, dall’immaginario virtuale prodotto dalla cattura digitale del movimento (motion capture) e dalla sua animazione 3D (motion graphics).
Più corpi danzanti contemporaneamente vengono catturati dalle nove/dodici telecamere a raggi infrarossi della stereometria optoelettronica (motion capture), le quali si collocano nello spazio scenico e definiscono un volume di cattura , che coincide con una parte importante della scena performativa. La danza è la forza vivente che viene trasformata in digitale (dematerializzazione) attraverso il sistema di “cattura” (motion capture) e “trasfigurata” (motion graphics). I performer del digitale in “tempo reale” catturano il movimento e lo mutano in coreografia digitale e in spazi fluenti di architettura viva. Le nuove tecnologie sono parte integrante del programma coreografico e del sistema spaziale, in cui la materia viva e non viva coesistono nello spazio stereoplastico della scena, camera Pycta, predisponendo lo spettatore ad una immersione multipercettiva proposta dalle diverse cinetiche che i corpi vivi e quelli digitali mettono in campo. L’architettura non è più scenografia, il suono non è più musica, il movimento non è più spostamento. Partecipiamo come spettatori ad un sistema in cui ogni disciplina esiste e al contempo muta “adattandosi” all’ambiente. Lo spettacolo, infatti, è generato come evento emergente di cui ogni parte (architettura, suono, danza, biomeccanica e animazione) ha la propria identità, e allo stesso tempo la perde per divenire parte di un più ampio processo. Da questo continuo circolare, dal reale al digitale, per “farsi corpi mutanti”, emerge la condizione cognitiva che genera il teatro dell'esistente. Lo spettacolo è stato proposto nel 2005 in una prima fase sperimentale; nel 2006, dopo un anno di alto approfondimento tecnologico e creativo, che ha permesso un’importante connessione tra la cattura del movimento ed il suono, PYCTA conclude la sua produzione e si presenta nella forma definitiva al Teatro Vascello di Roma e al MONACO DANCE FORUM, Monaco di Montecarlo.
Dal 1981 al 1985 l’attività dell’Associazione, divenuta Gruppo Sperimentale Movimento Suono Spazio Immagine, guidata da Lucia Latour (coreografa e architetto) in collaborazione con Luigi Ceccarelli (compositore), si sposta verso nuove tecniche del movimento e l’azione si trasferisce nell’ambito della danza contemporanea. La metodologia di riferimento è l’improvvisazione con una concezione europea, legata ai temi della memoria, all’automatismo e alla visionarietà.
La fondazione della Compagnia Altroteatro (1986/1999) produce una nuova fase ideativa: la tecnologia della multivisione, sincronizzata al suono e alla stesura coreografica, libera il corpo dai tradizionali riferimenti spaziali, e lo situa in nuovi campi energetici e di eccentricità gravitazionale. Ci si allontana dalle tecniche d’improvvisazione per quelle di montaggio: la “machinerie” scenica, viene pensata come un organismo che produce senso ed emozioni.
Nel 2000, Altroteatro avvia il progetto “Momentanea” e predispone la ricerca coreografica in un rapporto fondamentale con l’architettura contemporanea e le nuove tecnologie, nasce così una preziosa collaborazione con l’architetto Orazio Carpenzano. L’immaginario coreografico si concentra sul “corpo-che-si-fa-spazio”, e l’architettura si produce in un “farsi corpo”. La scena live è concepita come un organismo vivente, che muta per necessità performativa. Di questo periodo è lo spettacolo “Physico”(2000 - 2001), coreografia di Lucia Latour, architettura di Orazio Carpenzano, musica elettronica dal vivo di David Baritoni e viene pubblicato il libro “Physico Fusione danza-architettura”, Universale di Architettura, editore Testo&Immagine, Torino, 2003. Nel 2002, Altroteatro inizia un’importante collaborazione con il Dipartimento di Scienze del Movimento Umano e dello Sport DiSMUS/IUSM, diretto da Aurelio Cappozzo, e con POOL FACTORY - Centro di Computer Animation, diretto da Flaviano Pizzardi.
Nel 2003 si costituisce ALTROEQUIPE, un gruppo di ricerca multimediale formato dai componenti della Compagnia Altroteatro, dall’architetto Orazio Carpenzano, docente presso il DAAC - Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, da Marco Donati e Mounir Zok, ricercatori del DiSMUS, Dipartimento di Scienze del Movimento Umano e dello Sport/I.U.S.M., da Flaviano Pizzardi, creative director di POOL FACTORY, Centro di Computer Animation, da Andrea Carfagna, regia video di MUSIC HOUSE, fondato sull’uso della Motion Capture, per la cattura tridimensionale del movimento, e l’applicazione della Motion Graphics, per l’animazione in 3D.
La ricerca definita “Organismi Performativi Reversibili”, ha come ambito di verifica prioritario la scena live, e si propone la produzione di diverse forme spettacolari in ambienti interattivi.
Di questo periodo sono gli spettacoli “Sylvatica”(2003 - 2004), “Prototypa”(2004), “Pycta” (2005-2006) coreografie di Lucia Latour, architetture di Orazio Carpenzano, musiche elettroniche dal vivo di David Barittoni, Motion Capture - DiSMUS/IUSM, Motion Graphics - POOL FACTORY.
La Compagnia Altroteatro è attualmente costituita da Lucia Latour, coreografa e direttore artistico, dai danzatori Pamela Caschetto, Cristina Falasca, Pavla Jaroslava Pohlreichová, Cristina Morelli, Simona Zaccagno, David Barittoni, performer del suono, Luana Piermarini, organizzazione e responsabile della scena, Diletta Simotti, segreteria e ufficio stampa.
La Compagnia Altroteatro ha presentato i suoi spettacoli nei più importanti teatri e festival italiani e, nel corso della sua attività, ha svolto tournée in Francia, Germania, Portogallo, Croazia, Russia e Argentina.
ALTROEQUIPE
PYCTA
Trailer, 2006
ALTRO - O. CARPENZANO - DiSMUS/IUSM - POOL FACTORY - MUSIC HOUSE - TEATRO VASCELLO - AURION s.r.l.
durata: 15' 56"
coreografia: Lucia Latour
architettura: Orazio Carpenzano
musica elettronica live/motion capture: David Barittoni
art director motion graphics: Flaviano Pizzardi
motion capture live: Marco Donati, Mounir Zok
design luci: Loїc Hamelin
sistema videoproiezioni: Andrea Carfagna
sistema utilizzato Motion Capture VICON Real Time, DiSMUS/IUSM
consulenza motion capture: AURION s.r.l.
danzatori: Marta Capitani, Pamela Caschetto, Sara Filipponi, Silvia Guasto, Luna Paese, Mirando Secondari, Simona Zaccagno
operatore motion graphics: Daniele Zacchi
assistente al set tecnologico / comunicazione digitale: Tiziana Amicuzi
amministrazione e direttore di scena: Luana Piermarini
organizzazione e ufficio stampa: Diletta Simotti
materiali di scena: ALTRO
sarta: Anna Cesari
website e multimedia CD: Alessandro Uliana
foto: Massimiliano Botticelli, Riccardo De Antonis
video maker performance: Roberto Carotenuto
video maker workshop: Stefano Alegnini
PYCTA, un micromondo stereoplastico
PYCTA è spettacolo multimediale che genera uno spazio plurale , che non ha dimensioni, e che diventa solamente “modello spaziale”, costituito dalla danza, dal suono, dall’architettura, dall’immaginario virtuale prodotto dalla cattura digitale del movimento (motion capture) e dalla sua animazione 3D (motion graphics).
Più corpi danzanti contemporaneamente vengono catturati dalle nove/dodici telecamere a raggi infrarossi della stereometria optoelettronica (motion capture), le quali si collocano nello spazio scenico e definiscono un volume di cattura , che coincide con una parte importante della scena performativa. La danza è la forza vivente che viene trasformata in digitale (dematerializzazione) attraverso il sistema di “cattura” (motion capture) e “trasfigurata” (motion graphics). I performer del digitale in “tempo reale” catturano il movimento e lo mutano in coreografia digitale e in spazi fluenti di architettura viva. Le nuove tecnologie sono parte integrante del programma coreografico e del sistema spaziale, in cui la materia viva e non viva coesistono nello spazio stereoplastico della scena, camera Pycta, predisponendo lo spettatore ad una immersione multipercettiva proposta dalle diverse cinetiche che i corpi vivi e quelli digitali mettono in campo. L’architettura non è più scenografia, il suono non è più musica, il movimento non è più spostamento. Partecipiamo come spettatori ad un sistema in cui ogni disciplina esiste e al contempo muta “adattandosi” all’ambiente. Lo spettacolo, infatti, è generato come evento emergente di cui ogni parte (architettura, suono, danza, biomeccanica e animazione) ha la propria identità, e allo stesso tempo la perde per divenire parte di un più ampio processo. Da questo continuo circolare, dal reale al digitale, per “farsi corpi mutanti”, emerge la condizione cognitiva che genera il teatro dell'esistente. Lo spettacolo è stato proposto nel 2005 in una prima fase sperimentale; nel 2006, dopo un anno di alto approfondimento tecnologico e creativo, che ha permesso un’importante connessione tra la cattura del movimento ed il suono, PYCTA conclude la sua produzione e si presenta nella forma definitiva al Teatro Vascello di Roma e al MONACO DANCE FORUM, Monaco di Montecarlo.
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