sabato 14 luglio 2007

Lino Strangis

Nato a Lamezia Terme (cz) il 19/01/1981, vive e lavora a Roma.

Laureato in filosofia (indirizzo Estetica) con una tesi teorica sulla Videoarte, fin dall’infanzia studia musica e dalla prima adolescenza si dedica alle arti visive (inizialmente pittura poi anche scultura). Nella seconda metà degli anni ‘90, nel corso degli studi classici, è fondatore e co-fondatore di diverse band prevalentemente di stampo noise-rock e partecipa a diverse mostre (locali), accostandosi fin da subito ai linguaggi delle avanguardie. Con i “Mystress-no-eyes” (di cui è autore di testi e musiche) nel 2002 incide un ep per la Narcolettica records. Dal 2002 si occupa di Sound Art e arti installative/audio-visive digitali e dal 2005 si dedica esclusivamente a queste. Nel 2003 fonda il gruppo “malerischeren” con cui organizza e partecipa a diverse mostre in vari centri sociali nella capitale e nel sud d’Italia e nel 2004 fonda il gruppo “Smoker mu”, il quale si occupa di musica sperimentale, Performance, Sound Art e musica per teatro. Dal 2005 espone le sue opere in diverse collettive di livello internazionale tra cui “Give Me Two Times, Video d’Arte e Nuove Ricerche”(2006, MLAC, Museo laboratorio di Arte Contemporanea, a cura di Giorgia Calò) e tiene la sua prima personale dal titolo “Passaggi di Stato” (2005, MLAC, Museo, Laboratorio di Arte Contemporanea, a cura di Simonetta Lux) .
Nel 2006 fonda il gruppo “Le Momo Electronique”. La sua ricerca è tutta votata alla realizzazione di opere “totali”, ambienti in cui le sperimentazioni sonore convivono con quelle visive nel perenne inseguimento «dell’emersione dell’altro che è in ogni cosa». Non indulge (nei video come nelle video e foto-pitture) nell’utilizzo di filtri ed effetti digitali, anzi ai processi d’alterazione messi in atto grazie a questi attribuisce una complessa e profonda concettualità.




Lino Strangis

Supernatural Chance
Installazione audio-visiva site specific







Per questa installazione Strangis piazza all’interno di una piccola nicchia nel muro del sotterraneo del Castello uno dei suoi Video-Carillon costruito a partire da una ripresa (scorcio di paesaggio naturale) realizzata all’esterno del medesimo edificio, diffondendo invece il sonoro nell’intera sala. L’opera apre così in primo luogo ad un particolare dialogo tra interno ed esterno in cui la visione diviene “via di fuga” verso l’esterno, «uno spiraglio tramite il quale, se giustamente disposti, “volgersi altrove”, “guardare oltre”». A completare l’opera una stampa lamda su alluminio, una di quelle che chiama foto-video-pitture: non semplici still, bensì fotografie dei suoi video in trasmissione sullo schermo televisivo, elaborate a loro volta in un loro originale modo, non presente nel video stesso: «non mi piace -dice- l’idea di realizzare un lavoro che sia solo una sorta di documentazione di un’altra opera, voglio che ogni opera abbia un carattere assolutamente proprio e per di più, fotografando il teleschermo riesco ad ottenere delle textures di luce inottenibili in altro modo».
Non è certo un caso che questa opera abiti nel luogo più buio e cupo dell’antico edificio e non è un caso che vi sia una relazione di contrasto nella struttura dell’audio-visione tra il visivo (ripresa esterna in un giorno di sole), posto in posizione di apparente marginalità, ed il sonoro, diffuso nell’ambiente, caratterizzato da toni cupi, i quali vanno a integrarsi perfettamente con il carattere atmosferico dell’ambiente architettonico. «Volevo costruire una metafora precisa (seppur “infinita”) e volevo che l’architettura (in tutta la sua antica distanza dalle mie audio-visioni digitali) si integrasse completamente con il mio lavoro, che ne fosse parte integrante, e viceversa».
Ma qual è la metafora? Perché rinunciare, per metterla in atto, alla possibilità di una grande proiezione certamente meglio capace di valorizzare (almeno esteticamente) le sue elaborazioni digitali? Non stento a chiamare le sue motivazioni “concettuali”... Il sotterraneo diviene metafora «della cupa ed angosciosa piattezza a cui un diffusissimo retaggio positivista riduce la nostra vita quotidiana, banalizzando, nell’illusione secolare di una conoscenza antropocentrica, ogni cosa con cui si confronta». Più semplicemente si allude a quella tendenza ad «adagiarsi sul luogo comune, sullo stabilito per regola, per abitudine, per una coatta chiusura mentale, quella ottusa indisponibilità all’apertura nei confronti delle più diverse forme di alterità che è tipica dell’uomo occidentale, il quale ancora crede che la sua sia l’esatta visione del mondo». Questa tendenza, secondo Strangis ci allontana sempre più dalla «verità delle cose e dalla possibilità di vivere il più possibile in sereno accordo con l’imprevedibilità e l’estrema ricchezza dell’esistenza». Il visivo nella nicchia invece è la chance, la possibilità sempre aperta, a chi la cerchi, di sentire oltre, altrimenti, «superare le barriere del mondano, aprendosi alla mutevole essenza dell’essere». Ecco perché Strangis nei suoi video-carillon ci mostra il medesimo frammento temporale all’infinito, lo stesso fenomeno alterato in continue metamorfosi digitali: per porre in evidenza il perpetuo mutare di ogni cosa, non solo il movimento ma «la motilità» impercettibile ai sensi umani. «I miei video-carillon sono processi di formazione/ri-formazione digitale metaforici delle continue formazioni/ri-formazioni naturali. Quello che faccio è alterare l’apparenza a cui siamo abituati per farla emergere come tale, in queste nature “alienate” quindi si rende “sensibile”, tramite un artificio, ciò che della natura resta altrimenti nascosto, cioè che ogni ente è sempre altro da ciò che di esso ci è concesso di cogliere.» Strangis si riferisce in particolare alla natura perché è convinto che in essa, nei suoi “meccanismi”, si celi la chiave di una conoscenza “superiore” in cui sono racchiusi tutti i livelli dell’esistenza, per questo ci tiene a specificare che le sue opere sono «un invito all’apertura verso ogni forma di diversità, ad uscire dalle certezze dei propri schemi e disporsi ad accogliere sempre nuove possibilità di “visione”.»

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